Un'alba di Giugno


Gianni Nigro
Anni giovani
01/10/2011

Dieci cosi per una di quelle cose e il caffè nero nella cosa grande

Al di là dei vetri della camera d’albergo la notte incombeva ancora, sopra le Alpi. Ma era una notte vagamente chiara, estiva, mai nera.
    Mi alzavo evitando ogni rumore, mi vestivo lentamente e uscivo.
   Fuori mi salutava l’alba, fresca, frizzante, l’alba dei monti che scendeva a valle, verso la cima del lago.
   Con l’auto e la mia canzone preferita del momento percorrevo le strade deserte che rasentavano i fianchi del monte e scorgevo, in una grossa casa ristrutturata di recente, una finestra illuminata.
   Chi, a quell’ora, poteva essere ancora sveglio? Chi, a quell’ora, poteva essere già sveglio? Quali drammi o banalità si celavano dietro quelle persiane semiaperte attraverso le quali trapelava quella fioca luce che si espandeva nel cielo pastoso e celeste di quell’alba di giugno?
   Poi proseguivo, e la strada iniziava a salire, tra tornanti e rampe, accompagnato dapprima da villette residenziali, poi, sempre più di rado, da qualche locale ormai dalle luci spente.
   Infine, in vetta al monte, si scorgeva in basso tutta la valle, le casette microscopiche, le luci delle strade.
La pompa di benzina apriva alle cinque e mezzo e i mattinieri, già numerosi, si affollavano, chi al banco, chi ai tavoli.
   Io, come sempre, prendevo un cannolo alla crema, che loro chiamavano con un altro nome che non riuscivo mai a imparare, e un caffè nero e liscio in tazza grande. E al momento di pagare non ero capace di esprimermi, perché le prime parole della giornata non si concretizzavano nella mia ancora assopita mente.
   «Ho preso», dicevo, o meglio blateravo e farfugliavo, «uno di quei cosi», e indicavo il tipo di pasta dentro la vetrinetta, «e il coso nero e liscio, nella cosa grande…» La donna, sulla quarantina, molto gentilmente, inseriva i dati nel computer e sul display appariva la cifra da pagare.
   «Ecco», mi rispondeva, «mi deve esattamente dieci di questi cosi».
   Le davo la banconota corrispondente a dieci cosi e poi uscivo, e il sole faceva capolino in cima al monte e lanciava il suo primo raggio sull’asfalto del Passo.
   Salivo in macchina, riattaccavo il disco, portavo l’auto sull’asfalto, iniziavo a scendere, in folle, senza motore, ed ero felice.











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