Io e il Ciclismo


Gianni Nigro
Ortensie
02/04/2012

Avevo nove anni quando mio padre decise che avremmo dovuto trasferirci a Milano da Livorno. Quando le scuole finivano, mi portava sempre da mia nonna e ritrovavo il profumo dei pini, del mare, i gatti dei miei nonni, i cugini.
In quel primo anno, cioè nel 1959, mi portarono un po’ prima che finissero le scuole e io mi annoiavo. Noi non avevamo mai avuto la televisione ma i miei nonni sì, una scatola grossa con uno schermo piccolissimo, in bianco e nero. e parlavano di Charly Gaul, delle sue imprese. Aveva dieci minuti di distacco da Anquetil, alla partenza della penultima tappa. Sembrava un’enormità. Solo Fausto coppi sarebbe stato capace di colmare un simile distacco, ma Coppi non correva più o quasi.
In quella tappa sulle Alpi Gaul riuscì a staccare Anquetil, e in una sola salita (mi pare fosse il Piccolo San Bernardo) strappò la maglia rosa a “Jaquot”. Che impresa! Non a caso la definirono “un’impresa alla Coppi”.
Una settimana prima ero sceso all’edicola a comperare Lo sport illustrato. Fin da piccolo avevo l’abitudine di farmi dare “du’ citti”, cioè qualche moneta, per andare all’edicola. Però mi comperavo sempre Topolino. Quella volta chiesi, alla meravigliata edicolante, Lo sport illustrato, una pubblicazione della Gazzetta dello sport che usciva ogni martedì.
E da quel momento entrò in me la passione del ciclismo.
Gli appassionati di ciclismo sono una genìa speciale. Anzitutto per un appassionato di ciclismo, il ciclismo è quasi una religione, una passione viscerale. Ma quasi mai è stata passione violenta. La violenza del pubblico appartiene ad altri. Non che non vi siano mai stati in assoluto violenze, ma si contano veramente sulla punta delle dita di una mano.
C’è una strada maledizione che perseguita i campioni che si liberano in salita. Uso il termine maledizione in senso laico, come uso strumentale del linguaggio, non che creda realmente alle maledizioni. Diciamo che lo dico in senso statistico.
Coppi, Gaul, Pantani, tutti scomparsi prematuramente. Coppi e Pantani, in circostanze tragiche. Gaul e Pantani. Erano simili solo nel fatti che in pochi chilometri di salita erano capaci di accumulare vantaggi impressionanti. Ma Gaul usava rapporti cortissimi, basava tutto sul ritmo, un numero impressionante di pedalate al secondo. Pantani, invece, tirava lunghi rapporti, molti metri a colpo di pedale. Il vantaggio che Pantani poteva prendere, in ciclismo definito moderno in cui si pensava che non si sarebbero mai più riviste simile performance, Pantani volava ad una velocità doppia, tripla rispetto agli altri.
Ricordo l’immagine di un Pantani scatenato che superava uno ad uno i reduci di una fuga da lontano. Uno di loro, vedendo arrivare e passare a quella velocità, si rialzò e spalancò le braccia. Un gesto che significava “questo è troppo!”.
I cosiddetti re della montagna hanno sempre entusiasmato le folle del ciclismo, ma, alla fine hanno vinto poco. Bartali era sicuramente un re della montagna, e il succitato Coppi era più passista che grimpeur, anche se in montagna costruiva imprese storiche. Insomma, Coppi in questo senso era un caso a parte. I veri re della montagna, nelle tappe a cronometro in pianuta perdevano minuti a valanghe. Difficile ricordarseli tutti. Bartali, Gaul, Bahamontes, Fuente, Jimenez, Pantani. Bartali, numericamente parlando, ha vinto meno di coppi. Gaul due Giri e un Tour ma niente Campionati del Mondo né San Remo. Pantani un Giro e un Tour. Bahamontes un Tour.
Per vincere molto si deve andare forte dovunque. Coppi ha vinto molto, ma non moltissimo, perché gli mancava lo sprint. Merckx ha vinto moltissimo, perché ha addirittura inziato come sprinter.
Giovanissimo, Merckx vinse la sua prima Sa Remo in volata. Poi, negli anni successivi, alla vigilia della San Remo non ci si domandava chi avrebbe vinto, perché quasi sicuramente avrebbe vinto Merckx. Ci si domandava come avrebbe vinto. E ogni volta ne inventava una nuova.
Merckx vinceva dovunque e comunque. Cinque Giri d’italia, cinque Tour de France, sette Milano – San Remo, tre (solo tre ?) campionati del mondo, e poi tutto il resto.
E piangeva.
Piangeva facilmente, Eddy Merckx, soprattutto da giovane. Pianse e giustamente quando con un probabile boicottaggio venne buttato fuori dal Giro in seguito alla positività al doping. Pianse ancora prima, alla fine di un Giro di Lombardia, che a quei tempi (bei tempi!) terminava ancora al Vigorelli. Adorni, compagno di Gimondi, lasciò uno spazio alla sua sinistra. Merckx, già gradissimo ma forse non troppo esperto in pista, e comunque sempre istintivo, s’infilò in quello stretto spazio. E Adorni lo chiuse. A quel punto Gimondi, ma non è mai stato uno spriter, partì. E vinse.



Ortensie