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27/09/2011
Domenica mattina, alle sei e trenta, procedevo guidando la mia auto in direzione sud lungo il vialone che cambia nome ogni qualche centinaio di metri. Mentre stavo traversando Viale Molise, sono stato investito in piena velocità da una Ka bianca. La macchina proveniva da una stradina nuova, da poco disegnata e asfaltata, che continua in Via Monte Ortigara. La stradina è talmente nuova, che qualche decina di minuti più tardi l’Agentre che stendeva il verbale brontolava: “Come faccio a scrivere che l’auto A proveniva da una strada che non esiste?” La strada esiste anche fin troppo e io l’ho fatta fotografare comprendendo nelle foto anche il classico cartello triangolare bianco col bordo rosso con l’angolo acuto rivolto verso il basso, che segnala di dare la precedenza. Inoltre l’auto proveniva da sinistra rispetto a me, ma a questo punto questo dettaglio è solo un doppione rispetto a quello del cartello del dare la precedenza. Fatto sta che lo sportello posteriore del lato sinistro della mia auto risulta rientrante di molti centimetri (forse 20?). Se avessi avuto un passeggero a bordo proprio seduto su quel lato, sarebbe finito all’ospedale. Oppure all’ospedale ci sarei finito io, magari con la frattura del femore, della clavicola, con commozione cerebrale per aver sbattuto la testa contro il vetro alla mia sinistra, per l’urto violentissimo. Ora, a prescindere dalle beghe legali ed economiche, vi rendete conto che un niente è sufficiente, durante una tranquillissima mattina di fine settembre, a passare dalla propria auto all’ospedale o magari all’obitorio? Non vorrei però né sprofondare in una polemica sui limiti di velocità non rispettati, sui cartelli stradali e le precedenze ignorate, sull’indisciplina e la superficialità ignorate. Vorrei piuttosto ragione sulla fragilità della vita stessa. L’altro giorno chiacchieravo con un gommista pre-anziano (cioè della mia età) proprio di questi temi. Gli raccontavo che un anno prima avevo avuto un risultato molto preoccupante in seguito ad un’analisi del sangue e che poi, irresponsabilmente, non mi ero più fatto controllare, e ad un anno di distanza, stavo benissimo. Insomma, in un attimo, in teoria, si può passare dallo stato di serenità e di salute alla perdita di tutto ciò. Se ne parla, in teoria, distrattamente, ma quando ci si trova dentro la cosa è tremenda. È tremenda la nostra fragilità. E da qualche tempo la coscienza di questa fragilità accompagna i miei pensieri, i miei stati d’animo.
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